L'iPhone inaccessibile del figlio morto: cos'è l'eredità digitale e come reagirà Apple alla richiesta di accedere a iCloud

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10 febbraio 2021 - 15:36

Il caso della famiglia di Milano che vorrebbe riavere i contenuti sull’iCloud del figlio morto in un incidente. Il giudice ritiene la richiesta legittima ma tocca una policy delicata per Apple, su cui è bene fare chiarezza

di Michela Rovelli

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La gestione di quella che definiamo in modo generico «eredità digitale» è complessa e confusa. Non c’è una legislazione precisa, non c’è una via chiara da seguire. Come dimostra il caso di una coppia di genitori di Milano, distrutta dalla morte del figlio in un incidente d'auto, che vorrebbe riavere i dati che il ragazzo aveva sul suo smartphone. La sua eredità digitale per l’appunto. Il dispositivo, un iPhone, è andato distrutto nello scontro, ma le foto e i video sono ancora accessibili su iCloud, il servizio di archiviazione online di Apple. Il problema è che madre e padre non conoscono la password dell'account del figlio. Dunque si sono rivolti a un giudice del Tribunale Civile di Milano, il quale ha ordinato in via cautelare d'urgenza alla società di recuperare le informazioni. Un'azione che la giudice Martina Flamini descrive come «del tutto legittima» e ancora «l'esercizio di un diritto riconosciuto dall'ordinamento giuridico italiano, alla previsione di requisiti del tutto estranei alle norme di legge». Come risponderà Apple? Per capirlo, bisogna innanzitutto spiegare le motivazioni che hanno portato la società a curare sempre di più la privacy dei suoi utenti. Privacy che viene rispettata anche in caso di decesso.

Cos’è l’eredità digitale

Per eredità digitale si intendono tutti quei dati contenuti in un dispositivo di memorizzazione, sia esso fisico o virtuale. Dunque quei dati che siano contenuti sul nostro telefono o sul nostro Pc, ma anche su un Cloud o su una piattaforma dove abbiamo registrato un nostro account. Foto e video, ma anche post condivisi sui social, testi sul un blog, contatti, messaggi di posta elettronica. E ancora, criptovalute, eBook o librerie streaming. Insomma, l’eredità digitale comprende il nostro patrimonio composto da codice binario. Difficile in effetti dare una definizione completa, anche perché nella legislazione - europea o italiano - la materia è confusa e trattata in modo superficiale. Se ne ha traccia nel Gdpr, il trattato europeo per la protezione dei dati personali, e nel Codice della Privacy italiano, aggiornato al 2019. Ad oggi, comunque, non c’è nessuno strumento giuridico che tratti in modo preciso e puntuale la trasmissione ereditaria del proprio patrimonio digitale. Si può decidere di aggiungere nel testamento un riferimento, sebbene sia piuttosto pericoloso poiché questi dati sono generalmente protetti da password, che dovrebbe rimanere segreta fino alla consegna all’erede. Oppure affidarsi a piattaforme nato ad hoc per riempire il buco lasciato dalla legge. Una di questa è eLegacy, primo esperimento italiano per sottoscrivere dei documenti digitali (con firme elettroniche) che danno un mandato post mortem sui nostri account e i nostri dispositivi a un’altra persona. Un’altra precisazione da fare è che alcune società tecnologiche hanno in effetti pensato a come gestire i profili di persone decedute. Un esempio è Microsoft: gli utenti di Outlook possono compilare un modulo per dare istruzioni precise su cosa fare dei propri dati dopo la propria morte. Un altro esempio è Facebook, che ha dato la possibilità di nominare un «erede» del proprio profilo social, che potrà gestirlo con limitazioni. Senza dunque poter pubblicare post o leggere messaggi privati. Su Instagram invece è possibile trasformare il profilo del defunto in un profilo commemorativo (presentando il certificato di morte). Mentre su Google (dunque Gmail, YouTube, Drive, eccetera) troviamo l’assegnazione di un fiduciario dell’account, per gestire l’account «inattivo».

Se si richiede di sbloccare l’iPhone di un deceduto

L’eredità digitale riguarda, ovviamente, anche i dispositivi e le piattaforme su cui questi dati sono salvati. E qui bisogna fare una distinzione. Appunto tra il dispositivo, l’iPhone, e la piattaforma, iCloud. Se i genitori di Milano avessero chiesto ad Apple di accedere allo smartphone del figlio, la risposta sarebbe stata sicuramente No. Per spiegare la policy che, fino ad oggi, ha guidato Apple in questo senso bisogna tornare al 2013, quando scoppia il caso Datagate a causa delle rivelazioni di Edward Snowden. Lo scandalo mette in evidenza la disponibilità delle grandi società tecnologiche di collaborare con Cia ed Fbi per quello che viene definito uno «spionaggio di massa». La crisi di reputazione e la volontà di porre rimedio agli errori del passato porta Apple, nel 2014, a rendere completamente inviolabile il suo sistema operativo con la versione iOS 8. Inviolabile a tutti, anche ai suoi stessi tecnici. Si può accedere ai dati criptati solo con la password dello smartphone. In presenza di un mandato del giudice, Apple non sarà più in grado di bypassare la sicurezza dei suoi dispositivi. La decisione di Apple del 2014 diventa comunque «leggendaria» un paio d’anni più tardi, nel 2016, quando Apple si rifiuta di eseguire l’ordine del giudice federale Sheri Pym per decriptare l’iPhone 5c appartenente a Syed Farook, uno dei due attentatori della cittadina californiana di San Bernardino che aveva ucciso 14 persone in un centro per disabili. Secondo il giudice, Apple avrebbe dovuto cooperare con l’Fbi per creare un sistema di backdoor in grado bypassare la crittografia degli smartphone, che neanche la stessa società può decriptare. Richiesta negata (con una lettera di Tim Cook). L’Fbi sarà costretta a fare da sola e a rivolgersi a una società terza - non ne è stata ufficialmente rivelata l’identità ma dovrebbe trattarsi dell’israeliana Cellebrite - per sbloccare l’iPhone del terrorista. Guardando a casi più privati, troviamo quello di un architetto di Foligno, Leonardo Fabbretti, che voleva accedere all’iPhone del figlio morto dopo una lunga malattia. Nel suo caso, l’ultimo backup su iCloud risaliva a tre mesi prima del decesso e il padre avrebbe voluto recuperare foto e video degli ultimi giorni di vita del figlio. Salvati solo all’interno dello smartphone. Niente da fare.

Se si richiede di accedere all’iCloud di un deceduto

L'iPhone inaccessibile del figlio morto: cos'è l'eredità digitale e come reagirà Apple alla richiesta di accedere a iCloud

Il caso di Milano è però differente. Qui l’iPhone, come detto, è andato distrutto. E i genitori del ragazzo vorrebbero accedere a foto e video archiviati su iCloud. In attesa della risposta ufficiale di Apple, possiamo anticipare che probabilmente la loro richiesta avrà un esito positivo. Nei termini del servizio di iCloud si legge: «Se non diversamente previsto dalla legge, accettate che il Vostro Account non è trasferibile e che qualsiasi diritto verso il Vostro ID Apple o Contenuto nell’Account si estingue con la Vostra morte. Su ricezione di una copia del certificato di morte l’Account potrà essere cancellato e tutti i Contenuti nell’Account eliminati». Ma, andando a leggere la pagina «Come richiedere l’accesso agli account Apple di un familiare deceduto» leggiamo: «Affinché Apple possa fornire assistenza nell’accesso ai dispositivi o alle informazioni personali archiviate in iCloud di un cliente deceduto, i familiari devono innanzitutto ottenere un’ordinanza del tribunale in cui gli stessi siano dichiarati legittimi eredi con facoltà di accedere alle informazioni personali del defunto». Nell’ordinanza bisogna specificare il nome e l’ID Apple del defunto, il nome del congiunto che sta chiedendo le informazioni, la conferma che il defunto era l’utilizzatore degli account associati all’Appl ID, la conferma che il richiedente è l’erede o il fiduciario legale, la conferma che il tribunale richiede a Apple di fornire assistenza nell’accesso ai dati. «Per noi è molto importante mostrare solidarietà ai parenti del defunto — si legge ancora — Una volta ricevuta l’ordinanza del tribunale, faremo tutto il possibile per concedere l’accesso alle informazioni personali o ai dispositivi inclusi nella richiesta». Con l’ordinanza di un tribunale - già ottenuta dalla famiglia — Apple dovrebbe dunque acconsentire a restituire i ricordi digitali del ragazzo.

10 febbraio 2021 (modifica il 10 febbraio 2021 | 15:36)© RIPRODUZIONE RISERVATA

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